Il Cavaliere e Margherita: scatole
2004
Centro Artistico Alik Cavaliere, Milano
Le scatole di Margherita Palli evocano un percorso creativo durato 14 anni come scenografa delle opere del regista Luca Ronconi.
La scenografa italiana più innovativa e riconosciuta si presenta per una volta sotto la veste di artista in proprio.
I suoi non sono bozzetti ma frammenti, riflessioni a posteriori, immagini allo specchio. Alle scatole di Margherita rispondono quelle del Cavaliere, elaborate nel periodo (1975-76) in cui la scenografa, giovanissima, faceva da assistente allo scultore. Una collaborazione durata un paio di anni, ma rimasta viva nella memoria e nell'opera di Margherita Palli che ancora oggi ricorda Alik Cavaliere, ai tempi docente di scultura presso l'Accademia di Brera, come colui da cui ha appreso a plasmare, che le ha insegnato a giocare con gli oggetti sperimentandone con ironia tutti i caratteri; ad accostare i materiali, le forme, i generi, e le ha offerto un bagaglio di possibilità e di abilità, nonché un approccio metodologico al lavoro, a cui ha attinto durante la collaborazione con Ronconi. Quello stesso bagaglio che le ha, a suo dire, permesso di capire fin dall'inizio ciò che il grande regista le chiedeva.
Nel 2000, giunta alla fine di un lungo ciclo di lavoro, e stimolata dalla gallerista Antonia Jannone, che per prima ha messo in mostra le sue opere nel gennaio del 2003, Margherita Palli, nata in Ticino nel 1951, diplomata in scenografia all'Accademia di Belle Arti di Brera nel 1976, e attualmente docente di Scenografia e Costume 2 al Corso di Laurea Specialistica in Scienze e Tecniche del Teatro allo IUAV di Venezia, si è interrogata su quei primi straordinari anni di carriera e ne ha inscatolato i ricordi, ricostruendo le scene che con maggiore intensità erano rimaste appese alla sua memoria.
Le ha rielaborate allo specchio, da un punto di vista naturalmente opposto rispetto a quello che le è proprio quando lavora ad una scenografia: come Alice nel paese delle meraviglie, ha incontrato il proprio pensiero, il proprio doppio, e lo ha trovato incantatore, rovesciato, stupefacente. Le scatole non riproducono le scene in sé, non le fotografano; piuttosto le evocano, racchiudono astrazioni, quintessenze, "memorie eidetiche", degli spettacoli che si sono svolti, immagini di scenografie complicate dalla presenza degli attori, specchio di ciò che è stato in parte nella realtà e in parte solo nella mente, e proprio per questo avventure autonome, a se stanti, animate e vitali nella propria deliziosa unicità.
Ai tempi in cui era iniziata la collaborazione con Alik Cavaliere, Margherita Palli era studentessa di scenografia, e proprio in quegli anni lo scultore lavorava molto agli allestimenti, è il periodo dei surrondings, di quelle che Cavaliere chiamava anche "le cose circostanti", gli scenari di vita quotidiana che lo scultore ha costruito a varie riprese tra il 1973 e 1985, in parte conservati al Museo Middelheim di Anversa.
I surrondings appaiono di fatto come vere e proprie scenografie, che racchiudono il quotidiano con le sue dissonanze e contraddizioni, con l'alternanza di novità e consuetudine, l'intrecciarsi di disarmonie e asimmetrie (i rumori della strada riprodotti, ad es., e le immagini proiettate non si accordano) che costringono il singolo all'attenzione, alla partecipazione, che impediscono l'azione inconsapevole; luoghi dell'attenzione, "dove anche il caso costituisce una scelta", dove l'artista è al contempo regista. E si trasformano negli anni, fino a diventare a Los Angeles nell' '84 (Surrondings VII) una stanza comune, usata da alcune persone per un breve periodo e sostituita poi dalla documentazione di ciò che in quel luogo è avvenuto, dal ricordo di qualcosa che in precedenza lì è accaduto, da un vuoto, cioè dall'assenza dell'opera creata in precedenza nello stesso spazio espositivo, "che si trasforma articolandosi nel ricordo di ognuno, divenendo fantasma." (Alik Cavaliere, Lo studio, Puntoelinea, p.729).
Del complicato gioco dei surrondings fanno parte due delle scatole in mostra di Cavaliere, recentemente restaurate da Margherita Palli, che aveva nel 1975 collaborato alla loro realizzazione. In esse lo scultore riprende il tema dei luoghi circostanti e lo rende ironicamente fruibile, trasportabile, scomponibile. Anche in questo caso, non si tratta di bozzetti: seguono nel tempo le principali installazioni ora ad Anversa (non a caso si intitolano Surrondings IV) e richiamano solo in modo parziale, schematico gli spazi abitati dagli spettatori dei primi Surrondings a grandezza naturale. Ancora una volta, come nel caso di Palli, l'Autore guarda se stesso riflesso nella memoria della propria opera e il contatto genera dubbi, pone questioni, stupisce, il doppio assume una vita propria, diversa, inattesa, per certi aspetti beffarda.
Infine, in mostra appare anche la prima, e forse la più amata, scatola di Cavaliere, il prototipo dell'opera trasportabile, fruibile, smontabile e componibile, il Bimecus del 1962, con il quale Cavaliere ironizza sul ruolo dell'arte pret à porter e sulla sua scultura, sul ruolo dell'artista e sulle aspettative del pubblico.
Un'opera accompagnata da un particolareggiato "libretto di istruzioni", che descrive il contenuto e assicura che consiste nell'occorrente "per ricreare stati d'animo" e più ancora per "rendere sempre più popolare e accessibile a tutti, specie ai più giovani, una versatile utilizzazione della forma artistica".